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DSA: cosa sono i disturbi dell’apprendimento

DSA: cosa sono i disturbi dell’apprendimento

A differenza degli anni passati ormai di DSA se ne parla tanto. Ma cosa indica questo acronimo?
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono disturbi neurobiologici che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale.

Il DSA non va confuso con risultati scolastici altalenanti, fattori culturali, basso livello socioculturale, ritardi cognitivi o difficoltà relazionali che influiscono sul funzionamento scolastico.

Per parlare di Disturbo Specifico dell’Apprendimento occorre una valutazione clinica approfondita, in cui si somministrano test specifici per valutare le competenze strumentali (la lettura, la scrittura e il calcolo). Se i risultati a questi test sono al di sotto di quanto previsto in base all’età e all’istruzione e non è presente ritardo mentale, allora è possibile fare diagnosi di DSA.

La prevalenza dei DSA in Italia oscilla tra il 2,5 e il 3,5% della popolazione in età evolutiva. Se non individuati e trattati spesso portano all’abbandono scolastico e di conseguenza la riduzione della realizzazione delle proprie potenzialità lavorative, oltre che alla comparsa di problematiche emotivo-relazionali.

I differenti disturbi

Si distinguono quattro diversi disturbi:

  • Dislessia: disturbo nella lettura. Il principale problema è l’automatizzazione della lettura che porta il soggetto dislessico ad una lentezza e/o scorrettezza nella lettura ad alta voce.
  • Disortografia: disturbo nella scrittura. In cui è presente la difficoltà a controllare le regole della scrittura commettendo errori sistematici di tipo ortografico (ad esempio l’uso dell’h, le doppie, ecc). Gli errori di tipo fonologico invece si caratterizzano per confusione tra fonemi simili (ad esempio f-v,p-b, d-t, inversioni, omissioni di suoni).
  • Disgrafia: disturbo nella grafia. La difficoltà nel modulare il tratto grafico (la scrittura che gli occhi inesperti definiscono “disordinata”), dimensione, forma e orientamento di lettere non costanti. Inoltre l’uso dello spazio non è efficiente tanto che la distanza tra le parole e le lettere può essere minima e il tratto risulta essere discontinuo. Ciò che ne consegue è una scarsa leggibilità dello scritto e un processo di scrittura poco fluido e faticoso.
  • Discalculia: disturbo nelle abilità di numero e di calcolo, intese come capacità di comprendere ed operare con i numeri (strategie di calcolo mentale, comparazione, quantificazione, ecc) e nelle procedure di calcolo (incolonnamento). Questo porta ad una lentezza esecutiva nel calcolo, con difficoltà nella lettura di numeri, nell’apprendimento di tabelline, nell’esecuzione di calcoli per risolvere problemi.

In letteratura esistono varie teorie che propongono diversi meccanismi neurobiologici alla base del disturbo e la maggior parte di queste ipotesi analizza le cause del deficit di lettura, trascurando quello di scrittura che viene solitamente associato ad esso.

 

La dislessia evolutiva

Riguardo la dislessia evolutiva esistono diverse teorie, le principali sono:

  • La teoria fonologica. Alla base del disturbo di lettura c’è una compromissione della processazione fonologica in cui sono coinvolte capacità di codifica, immagazzinamento e recupero. Si ha difficoltà ad acquisire e memorizzare la rappresentazione fonologica dei segni grafici (ad esempio quali sono i fonemi della parola scritta “casa”). Ciò causa un rallentamento della lettura e la comparsa di errori nella produzione di fonemi. Questa ipotesi interpretativa è largamente riconosciuta in letteratura perché sottolinea gli aspetti della sintomatologia della dislessia che sono osservabili direttamente (lettura ad alta voce).
  • La teoria del deficit di automatizzazione. Considera una disfunzione cerebellare (del cervelletto) come causa di un disturbo di automatizzazione delle abilità. Abilità non solo di lettura, ma anche dell’apprendimento implicito. Questa ipotesi troverebbe riscontro nella difficoltà di svolgere due compiti nello stesso momento. Questo evidenzia l’impatto (affaticabilità) che ha la mancata automatizzazione di una abilità sulle attività cognitive.
  • La teoria magnocellulare. Sottolinea l’importanza del sistema magnocellulare (area visiva del cervello) coinvolto nell’elaborazione delle informazioni sia di natura visiva che uditiva. Un deficit a questo sistema provoca o una sovrapposizione o una difficoltà a sequenziare gli stimoli (“la” può essere letto come “al”). Questa ipotesi ha consentito di spostare l’attenzione sulle componenti neurali dei processi visivi coinvolte nell’analisi visiva dello stimolo.
  • La teoria del deficit attentivo. Evidenzia il concetto di finestra attentiva, ossia di uno spazio sia visivo sia temporale in cui vengono analizzate e processate le informazioni.

 

Le teorie e la loro attendibilità

Ognuna di queste teorie tenta di individuare un’unica causa alla base del disturbo, ma in realtà è molto più probabile l’esistenza di più fattori che contribuiscono alla sua genesi. Inoltre, la maggior parte degli studi ha tentato di individuare la natura del disturbo senza tener conto dei suoi aspetti qualitativi. I soggetti dislessici studiati sono stati considerati come un campione omogeneo ma il quadro del disturbo è così complesso da cambiare da soggetto a soggetto. La conferma di ciò è la quantità di differenti ipotesi interpretative.

Il DSA è un disturbo cronico che si modifica nel tempo, ossia si manifesta con caratteristiche diverse nel corso della vita di un individuo. Solitamente con il passare del tempo il soggetto dislessico incontra meno difficoltà nella lettura ma non arriverà mai ad avere gli stessi risultati di un lettore normotipico.
Alessia Pace

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