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Perché quella per la pace è l’unica battaglia da intraprendere

Perché quella per la pace è l’unica battaglia da intraprendere

La glorificazione della guerra nella storia

Per il filosofo greco Eraclito, la guerra era il padre di tutte le cose. Secondo Platone, non poteva essere condannata e negata perché necessaria al mantenimento dell’ordine e della pace nella polis. Il futurista Marinetti nel 1909 la definì come unica igiene del mondo e D’Annunzio la vide come la grande opportunità di coniugare la propria figura di uomo di cultura con l’aspirazione eroica del superuomo. Secondo l’antropologia, la storia della civiltà umana sembra essere costantemente caratterizzata dalla guerra, a partire dal Paleolitico fino alle attuali battaglie che stanno devastando la terra.

Studiosi e studiose sono divisi su questo tema da molti anni: un gruppo ritiene che la guerra sia nata con l’agricoltura. Prima di essa, grazie alla caccia e alla raccolta, le persone vivevano in una situazione di abbondanza di risorse e non avevano bisogno di combattere.

L’altro gruppo ritiene invece che la guerra sia un elemento intrinseco della natura umana, che siamo geneticamente portati a combattere gli altri. Che l’essere umano sia un lupo che caccia gli esseri umani, “homo homini lupus”, diceva Plauto.

È quindi naturale chiedersi se il desiderio di fare la guerra faccia parte della natura umana e come verrebbero influenzate le nostre vite se l’umanità perseguisse il suo istinto di combattere.

Il nostro destino sarà un’eterna guerra?

Una vita di sole guerre porterebbe a una spirale infinita di distruzione e sofferenza. Le conseguenze negative si ripercuoterebbero su tutti gli aspetti della vita e della civiltà, rendendo quasi impossibile il progresso e lo sviluppo. Seguendo l’idea che siamo stati progettati per farci la guerra gli uni con gli altri, gli esseri umani sembrano essere condannati, destinati a un’eternità di battaglie.

Come si può costruire la propria vita, mattone dopo mattone, con la consapevolezza che si vivrà una lotta costante ed eterna? Come potrà l’umanità continuare a evolversi, di generazione in generazione, con l’idea che la guerra può distruggere tutto in qualsiasi momento?

Ciò che muove le persone e le ispira ad andare avanti, costruendo il proprio futuro in un mondo che sembra muoversi in un’unica direzione, è il desiderio che la società possa impegnarsi nel cambiamento, nel miglioramento e nel perseguimento di obiettivi comuni, solidali, pacifici e inclusivi. La speranza che i bambini e le bambine di tutto il mondo possano costruire il loro futuro tra i fiori e non tra le macerie.

A prescindere dalla fede, dalla cultura, dal contesto geografico o dal pensiero politico, la pace è l’unica battaglia per cui valga la pena combattere. Ma come si fa a intraprendere l’educazione e la sensibilizzazione alla pace se tutto sembra perduto?

“Abbiamo bisogno di una logica in cui si riconosca il valore della collaborazione rispetto alla competizione”, dichiara lo scienziato e pacifista Carlo Rovelli. Seguendo questa prospettiva, infatti, ci si potrebbe chiedere cosa ne sarebbe di questo mondo e della vita umana se l’altruismo, la comprensione e la valorizzazione della diversità prendessero il posto dell’avidità che inevitabilmente causa la guerra.

Ashoka, il primo Imperatore per la pace

Possiamo rispondere a questa domanda ancora una volta fornendo uno dei più grandi esempi della storia. Ashoka, il terzo imperatore indiano della dinastia Maurya, vissuto nel III secolo a.C., era noto per aver abbracciato e promosso il concetto di pace. La sua vita e il suo regno offrono lezioni preziose sul potere trasformativo della pace e della nonviolenza. Egli, infatti, iniziò il suo regno con ambizioni militari espansionistiche estremamente violente che, come in ogni guerra, causarono morte e sofferenza. La sua conquista più nota fu quella del regno di Kalinga, un evento segnato da una violenza straordinaria che causò la morte di centinaia di migliaia di persone. Proprio questa conquista segnò una svolta decisiva nella sua vita. Profondamente turbato dall’atrocità umana e dalla disperazione che egli stesso aveva causato, l’imperatore subì una trasformazione spirituale.

La conversione religiosa dell’Imperatore

Si convertì al buddismo, abbracciando i principi della non violenza e della compassione. Questo cambiamento radicale non solo influenzò la sua vita personale, ma trasformò anche il modo in cui governò il suo impero. Ashoka divenne così un fervente promotore della pace, adottando politiche che promuovevano la tolleranza religiosa, il benessere sociale e la diffusione di valori etici. La sua visione della pace e della nonviolenza ha una straordinaria rilevanza nel mondo odierno segnato dai conflitti, e ci dimostra che si può cambiare totalmente rotta, anche partendo da un punto di vista inizialmente completamente opposto. Il suo messaggio, a distanza di millenni, offre ancora una guida preziosa perché la sua capacità di riconoscere il valore della vita umana e di trasformare un impero basato sulla guerra in uno basato sulla pace e sulla giustizia è un potente esempio di leadership etica e compassionevole.

In conclusione, l’eredità di Ashoka è un eterno promemoria dell’importanza della pace, della compassione e della tolleranza. La sua vita dimostra che anche un potente sovrano può scegliere la strada della nonviolenza e della moralità, influenzando positivamente milioni di vite e lasciando un segno indelebile nella storia. Oggi più che mai abbiamo bisogno di guide che, come Ashoka, siano disposte a trasformare la loro visione del potere per abbracciare una missione di pace e giustizia per tutti e tutte.

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