Chi lavora nel Terzo Settore, sia esso imprenditore che lavoratore/collaboratore, deve, suo malgrado fare i…
Chi lavora nel Terzo Settore, sia esso imprenditore che lavoratore/collaboratore, deve, suo malgrado fare i conti con una infinità di problemi che richiedono una particolare abilità per districarsi in un modo del lavoro (già complicato di suo).
Bisogna tenere in considerazione leggi ulteriori e stringenti (quelle di chi opera per conto della P.A. che sono specifiche e diverse rispetto a quelle delle altre aziende); tempistiche dei pagamenti; offerta di lavoro troppo sbilanciata su alcune figure professionali, con carenze di altre; difficoltà nei rapporti con l’utenza privata gravata anch’essa – oltre che dai propri problemi socio-sanitari – dai rapporti con la P.A. e non solo. Ci sono poi ancora le difficoltà di trovare un’occupazione a tempo pieno, e via discorrendo…
Quando si parla di Terzo Settore molti pensano esclusivamente al mondo del volontariato dove, circa 6 milioni di individui, dedicano generosamente parte del loro tempo in attività socialmente utili.
Ma accanto a questa mole di persone, inserite in Enti ed Associazioni No Profit di volontariato, ci sono Organizzazioni private che operano nel mondo del sociale, con strutture organizzative di tipo aziendale, con personale dipendente e con un Contratto Collettivo di Lavoro.
Nel 2016 (ultimo Censimento Istat sulle Istituzioni Non Profit) le organizzazioni No-Profit sono 343.00 con oltre 800.000 dipendenti.
Nello specifico, sempre nel 2016, le Cooperative Sociali risultano 15.600 con 428.000 dipendenti.
Da notare, sempre nel Censimento Istat, alcune significative differenze nella composizione degli organici con il settore delle imprese e dei servizi, differenze che ci servono per meglio capire la struttura occupazionale del Terzo Settore:
Alcuni di questi valori possono, in certe situazioni, diventare dei problemi sia per le Cooperative che per i lavoratori.
Purtroppo non vi sono dati sulla distribuzione percentuale tra impiegati che operano in sede e coloro che sono a diretto contatto con gli utenti, ma certamente il numero dei secondi è di gran lunga preponderante.
Infine, dato anche questo non rilevabile dal Censimento Istat, ma facilmente riscontrabile “sul campo”, è da evidenziare l’alto numero di collaborazioni varie: partite iva, prestazioni occasionali, ecc.
Cerchiamo ora di capire le problematiche (e le ragioni) delle Cooperative, poi quelle dei lavoratori per poi ipotizzare qualche strada convergente tra le due posizioni.
Le Cooperative si trovano a vivere tra tre fuochi: da un lato la difficoltà di trovare e trattenere le risorse professionali necessarie; da un altro lato vi sono gli utenti sempre sul piede di guerra per i continui cambiamenti; il terzo fuoco è, per le strutture che operano per conto della Pubblica Amministrazione, il sempre complesso rapporto con la burocrazia del nostro paese.
In particolare, per quanto attiene i lavoratori, un dato è certo: il turnover del personale occupato nel Terzo Settore è particolarmente elevato, in particolare tra gli operatori socio-sanitari.
Vari fattori sono indiziati per tale situazione. Tra questi:
Il continuo ricambio di lavoratori costringe ad un continuo ricerca di sostituti sul mercato del lavoro. La loro formazione ed inserimento nelle attività avviene spesso con un bassissimo tasso di programmazione professionale a medio-lungo termine. Inoltre questa situazione impatta molto sugli utenti che vedono un continuo cambio degli operatori assegnati.
La ricerca di personale trova come problematiche proprio i motivi che portano gli operatori a cambiare lavoro: offerta di attività di tipo domiciliare, forma di rapporto contrattuale limitata (lavoro part-time e/o a tempo determinato), se non addirittura non subordinato (ad es. partite iva), ecc.
A questi aspetti si devono aggiungere una disomogenea distribuzione di titoli professionali nel lavoro nel sociale (con una eccedenza di offerta per alcune professioni ed una cronica scarsità di altre) ed una presenza maschile molto ridotta in molte professioni.
Inoltre, specie per chi opera a domicilio, vi è la insormontabile questione dell’impossibilità (o quasi) di far nascere negli operatori il senso di appartenenza all’organizzazione per cui ci trova con una buona parte dei lavoratori che si sentono dei free-lance che possono andare e venire con eccessiva leggerezza!
Non potendo influire più di tanto sugli aspetti economici né sull’offerta professionale del mercato del lavoro, quali sono le possibilità – se ci sono – di una Cooperativa Sociale per garantirsi un organico qualitativamente valido e solido nel tempo?
Prima di provare a fare qualche ipotesi cerchiamo di capire, nella prossima puntata, quali sono le problematiche dei lavoratori e le loro aspettative.