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Michele Zappella ci spiega l’Attivazione Emotiva e Reciprocità Corporea

Michele Zappella ci spiega l’Attivazione Emotiva e Reciprocità Corporea

Michele Zappella è specialista in Neuropsichiatria Infantile e Malattie Nervose e Mentali.
Ha lavorato per molti anni in Inghilterra e negli Stati Uniti. Primario di Psichiatria in diversi Ospedali, ha diretto per 33 anni il reparto di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria di Siena. Attualmente è Research Coordinator nella Foundation for Autism Research NY US.

È autore di numerosi libri e articoli, molti dei quali dedicati ai disturbi dello spettro autistico.
È direttore scientifico della rivista «Autismo e disturbi dello sviluppo» delle Edizioni Centro Studi Erickson.

Sempre molto impegnato nell’attività clinica, gli abbiamo chiesto di spiegarci in cosa consiste l’Attivazione Emotiva con Reciprocità Corporea (AERC), una forma di intervento riabilitativo, che lui stesso ha introdotto per il trattamento dei bambini nello spettro autistico.

AERC, l’ATTIVAZIONE EMOTIVA A RECIPROCITA’ CORPOREA

“È un modo di intervento riabilitativo che ho elaborato verso la metà degli anni 80, grazie all’osservazione di alcuni e bambini incontrati nel reparto di neuropsichiatria infantile. Notai che un bambino con spettro autistico, preso per mano e fatto correre avanti e indietro dal padre, diventava molto allegro e più collaborativo, facendo una serie di cose che prima non faceva. Questa osservazione è stata il mio punto di partenza.

L’AERC si basa su due aspetti principali: un’attivazione motoria ed un’attivazione emotiva. Dapprima un genitore prende il bambino, lo fa correre avanti indietro, lo fa giocare, rendendolo molto allegro. Dopo di che, la seconda parte consiste nel porre il bimbo sulle ginocchia dell’altro genitore. Di solito chi lo fa correre è il padre, mentre il genitore che lo accoglie sulle ginocchia è la madre. Quindi il bambino arriva sulle gambe della mamma molto allegro e più disponibile. La mamma lo tiene di fronte a se, gli prende le manine e le mette sulle sue guance, gli rivolge degli scambi affettuosi, comuni tra madre bambino, eventualmente gli fa il solletico, lo fa ridere. In questa occasione la mamma può anche avviare uno scambio basato sul linguaggio. Anche se il bambino non sa parlare, sulle ginocchia della mamma, in questa situazione di liberazione emotiva, la mamma può stimolare una lallazione da parte del bambino.

L’obiettivo è stimolare il linguaggio e la parte espressiva del bimbo, poi si passa alla parte manuale. Il trattamento dell’aspetto manuale si ispira al metodo Portage. La mamma può guidare il bambino nel compiere semplici attività, come ad esempio sovrapporre un cubo sull’altro, oppure successivamente lo incoraggia a prendere una matita e a fare una riga. Magari inizialmente la mamma lo aiuta con una sua direttiva determinata nel tracciamento del segno, poi gradualmente lo rende più autonomo, diminuendo l’appoggio della sua mano su quella del figlio, permettendo al bambino di andare avanti in modo più libero”.

QUALI BAMBINI POSSONO BENEFICIARE DI PIU’ DI QUESTO TIPO DI INTERVENTO

“Secondo la mia esperienza, hanno esiti maggiormente positivi quei bambini che hanno avuto uno sviluppo normotipico fino a 18 mesi, poi hanno avuto una chiusura con sintomi simil autistici, ovvero il bambino è ripetitivo o hanno avuto delle stereotipie, o dei tic, talvolta anche dei tic vocali.
Ho osservato che una buona parte di questi bambini, sollecitati in questa maniera, specialmente se trattati in un’età relativa ai due anni e mezzo – tre, migliorano anche rapidamente e si normalizzano. Io inizialmente pensavo si trattasse di bambini autistici.

Oggi invece sappiamo che ci sono diversi disturbi del neurosviluppo i cui sintomi sono uguali a quelli dell’autismo. Quindi ora preferisco parlare di Sindrome Dismaturativa o di sindrome di Tourette. Questo è il quadro dei bambini che con un esordio precoce ha un’evoluzione più favorevole.
C’è però un cruccio che mi impensierisce ed è che, nonostante tutti i miei studi ed i dati favorevoli raccontati in diverse riviste di carattere internazionale, è curioso osservare che questo tipo di quadro non sia molto diffuso tra i miei colleghi.

A mio parere alla base c’è una questione fondamentale che riguarda il modo in cui si fa la visita. Tuttavia dobbiamo anche considerare che nel DMS 5, alla voce spettro autistico, non ci sono indicazioni rispetto al modo in cui si deve visitare un bambino. Nel DMS 5 è indicato in modo chiaro che lo spettro autistico ha esordio prima dei tre anni, però poi non c’è nessuno accenno sulla modalità di visita di un bambino così piccino, che è completamente diversa da una visita di un bambino più grande. La visita che si fa ad un bambino piccino può essere fatta in due modi opposti, uno è quello che suggeriscono alcuni medici inglesi, come Baron – Cohen e Bolton, che è definito oggettivante. In base a questo approccio, anche se il bambino si arrabbia, si può fare comunque una valutazione.

L’altra modalità consiste invece nel creare un’alleanza con il bambino fin dal primo incontro. L’alleanza con il bambino si può creare in tanti modi, io personalmente la creo accogliendo il bambino. Quando so di dover visitare un bambino vado personalmente ad accoglierlo alla porta, rivolgendomi subito direttamente a lui, presentandomi spesso come zio Michele. Il bambino reagisce spesso in modo un po’ sorpreso, in quanto è venuto alla visita un po’ spaventato magari dalle raccomandazioni dei genitori o per il fatto che non mi conosce. Però queste mie modalità di accoglienza creano un’atmosfera di confidenza che è fondamentale per avviare l’intervento”.